domenica 1 giugno 2025

Il buongiorno si vede dopo

 E alla fine maggio è passato davvero e io, mai come stavolta, non vedevo l’ora che accadesse per via di quelle risposte che attendevo e che in effetti sono arrivate. Sapevo che in ogni caso la strada sarebbe stata in salita ma confesso che l’idea di ripartire da zero, come di fatto sarà, in fondo mi piace moltissimo. Mi riservo il racconto appena ci capisco qualcosa io stessa. Nel frattempo mi faccio bastare le giornate tiepide e i massaggi tailandesi, gli allenamenti di gruppo e la giornata Lynch. Me lo faccio bastare ma mica lo so quanto basti davvero. La mattina decisamente non funziona ancora: i pensieri cupi necessitano almeno di tre ore prima di stemperarsi e posso garantire che non c’è niente che possa fare per stare un po’ meglio durante quel misto di tachicardia, voglia di rompere piatti e bicchieri e malessere non meglio precisato da gestione dei compiti quotidiani. Un dramma vero che detta così mi pare ai limiti del ridicolo. Spero che l’estate agevoli un po’ il cambio di ottica.

“Ma ti è mai capitato di parlare di piena guarigione nei tuoi casi clinici?”. Ho fatto questa domanda ad uno psichiatra che ho conosciuto ad una delle mie lezioni e lui mi ha detto così “Mah, in realtà il più delle volte si cerca solo di tenere in piedi la baracca” che poi è esattamente quello che penso io quando si trova il coraggio di ammettere di aver bisogno di un supporto, una cura, una terapia, un percorso di analisi. Io credo che dal disagio esistenziale non si guarisca mai, che certe questioni già basta se riesci a conviverci e che anzi di questi tempi sentirsi felici sia persino una specie di colpa, come se al senso di impotenza nei confronti delle catastrofi mi pare almeno doveroso provare dolore e compassione rispetto a realtà che non ci riguardano solo per pura fortuna.

Ho deciso che mi devo appuntare tutte le cose belle che mi succedono nell’arco di una settimana, perché mica esistono solo le colleghe brutte e cattive che girano con gli screenshot dei miei post tra le stanze dell’ufficio, o i risvegli del mattino pieni di ricordi pesanti e paure per un futuro non ancora scritto, mica esistono solo gli squat bulgari e la cronaca nera.

Io per esempio di questa settimana premio

Il film di Martone, che sfugge a tutte le regole del biopic, ma pure del racconto carcerario, della Roma che t’aspetti, del cinema dell’impegno e di tutto quello che ti aspetteresti e che invece non c’è. Perché è meglio

I miei muffin proteici al cioccolato. Uno dei miei miracoli sugarfree che però mica te ne accorgi

Il massaggio thai con la mia mani di fata preferita. Sono tutte bravissime…ma lei…

Gli allenamenti di gruppo con la Hunziker all’arco della pace. Quanto porta bene i suoi anni lei...che poi sarebbero pure i miei…

Un libro di Varga Llosa che non avevo letto ed è stupendo

La brutta notizia che secondo me è un’ottima occasione per un “ritenta sarai più fortunata”

Le prime ciliegie della stagione

Un complimento carino di quelli che alla mia età non si usano più 

Domani è ancora festa

Ora che ci penso. Mi pare pure troppo. Non credo di meritarlo o che mi sia dovuto. Ma è il mio modo di praticare la gratitudine quando finalmente passano le prime tre ore della mattina e la giornata può cominciare per davvero


 

lunedì 19 maggio 2025

Una vita in panchina

 “Ah, vedo che hai riaperto la stagione della meditazione su panchina al parco. Mi sei mancata. Sono almeno un paio d’anni che non occupavi questo spazio col piglio di chi pare averci messo un recinto inaccessibile anche solo per transitarci”

“Credo che siano passati almeno tre anni. E sì è vero, hai ragione, mi è sempre sembrato un posto tutto mio, dove far decantare le sensazioni sempre indecifrabili che mi accompagnano da quando ho imparato a fare i conti con la mia inadeguatezza. Ma ti assicuro che sono molto cambiata da quelle ultime volte, quando ero ancora alla ricerca di conferme o quando credevo di amare e invece ero soltanto ossessionata. E quando mi è passata e ti chiedevo se lo sapevi già che io con uno così ma quando mai e con quali occhi mi ostinavo a guardarlo? E quando la solitudine era un obbligo e io ho scoperto che stare davvero con se stessi, per tanto tempo e così profondamente, può essere un fatto davvero bello”

“Eh già. Mi ricordo di quegli anni in cui provavi a stare a Milano facendo tutto quello per cui si viene in una città come questa: gli aperitivi, gli allenamenti di gruppo, quelle week vattelappesca molto cool e per le quali rientravi a casa senza sapere bene che avevi fatto. A volte ti ho visto divertita. Altre inutilmente affaticata. Poi non ce l’hai fatta più. Non è colpa di Milano. È che tu proprio non funzioni in mezzo agli altri: non perché sei antipatica e neppure timida. È che la gente ad un certo punto lo capisce”

“Lo capisce? Cosa capisce?”

“Che ti manca la connessione. Mantieni una distanza di fondo che ad un certo punto si avverte. Stai nel gruppo, ma non sei davvero dei loro. Non te ne faccio una colpa, ma hai fatto bene a non insistere. Non funziona e non funzionerà mai. C’è di buono che ti vedo più tranquilla, meno smaniosa di conferme, pacificata nella tua incapacità di amare come si deve, più focalizzata sui tuoi piccoli obiettivi di lungo termine, ma soprattutto più rilassata”

“…mi manca la connessione…questa me la segno. Ma almeno riesci a predirmi se riuscirò a fare un altro viaggio entro l’anno o almeno se smetterò di fare brutti pensieri al mattino? Se vuoi ti vengo a trovare tutti i giorni. Mi siedo qui, sto zitta e ti ascolto per tutto il tempo che vuoi”

“Vorrei poterti dire che te la caverai con ogni certezza e che ci sono tutti i presupposti per sentirti come desideri. Ma ho capito che mi noti di più se non ti dico niente, se ci ritroviamo qui su questa panchina in silenzio e senza giudizio per tutto il tempo che ti riesce. Credo di avertelo detto anche altre volte che le cose, non dico belle ma quelle più intense e costruttive, accadono quando conserviamo l’orientamento verso di loro e accogliamo anche i piccoli e impercettibili passaggi che ci conducono dove non avevamo neppure immaginato. Rimani tranquilla, fai tesoro di quello che ormai ti è chiaro e che non ti è più dovuto. Accetta tutto come buono e giusto”

“Insomma non sai dirmi niente”

“Come al solito, sorella. Eppure…poi mi dirai”


lunedì 5 maggio 2025

Di giornate andate e tornate. Di radio, di crostate e di piantane. Di disegni tutti da completare

 Pochi giorni. Così, giusto per accorgermi un po’ meno di quanto manca alle prossime ferie vere e proprie e per stare un po’ in questa casa troppo diversa da me ma che pure prova ancora a contenere un po’ delle cose che mi riguardano. Sarei volentieri andata alle terme ma il meteo non mi aiuta. Dormo troppo poco anche qui e penso a cose bruttissime che mi mettono paura e dipingono scenari nella mia testa a cui non so  dare riscontro. In questo momento alla radio ci sono i miei beniamini dell’alba, quelli a cui una mattina - a fine puntata - portai una crostata alla crema con sopra scritto il titolo della trasmissione…certo che io proprio testa gloriosa livello top…

Non lo so. Vorrei dare un nome preciso a questa specie di ansia senza una vera ragione. Mi passa solo quando faccio un workout molto molto intenso, ma ho un dolore fortissimo al ginocchio e questo aggiunge paura alla paura. E così mi tocca pure fare i conti con lo sforzo di sdrammatizzare, meditare, respirare…e tutte quelle tecniche molto sagge - e ahimè per me inefficaci - per godermi queste piccole oasi di tempo libero. In fondo non ho scelta e forse se mi impegno una buona selezione di cose meritevoli del presente le trovo persino io.

Passeggio da una stanza all’altra, passo ad uno ad uno in rassegna i quadri che al tempo sistemai alle pareti, la disposizione dei mobili che non è mai stata quella definitiva, la scelta delle piastrelle di quella che non diventò mai la mia cucina. E poi i sanitari del bagno per gli  ospiti che credo di non aver mai usato, la scrivania dove ebbi giusto il tempo di preparare il concorso che mi avrebbe poi sfrattato per sempre…il piano di questa casa con cui ho giocato ad immaginare un futuro che si è realizzato solo a piccoli pezzettini sparsi mi fa sempre questo effetto di cose soltanto accennate e mai davvero accadute, come di un disegno che puoi riconoscere ma che è rimasto soltanto abbozzato, pure quando ogni tanto torni ad aggiungere dettagli. Va bene così. Stavolta ho portato una piantana che nel mio bilocale a Milano non aveva alcun senso e invece qui mi pare fatta apposta. In fondo potrei considerarla un’unica casa che parte da qui e finisce chissà dove nel disegno poco chiaro che mi impone il mio andare e venire senza una ragione chiara.

Oggi davano cattivo tempo, ma per ora c’è un sole già bello alto. Se il ginocchio me lo permette faccio l’ultimo allenamento di una specie di corso per militari che ho cominciato un mese fa e che forse non mi ha fatto così bene. Ma ormai mi pare assurdo non arrivare fino alla fine. 

Chissà se per quella crostata furono davvero contenti. Io tantissimo. Lo rifarei anche adesso se non fossi qui

domenica 20 aprile 2025

Camminare nell’attesa

 “Fa bene. Ma non è allenante”. Provo a ricordarmelo ogni volta che posso perché penso che mi sia utile. Una volta un allenatore con cui correvo mi parlò dei benefici enormi del camminare ma pure della sua completa inutilità come strumento di potenziamento nella corsa. È curioso in fondo che, a parità di gesto compiuto, a fare tutta la differenza è l’intensità con cui viene esercitato. Eppure rimane il fatto che camminare fa bene, che è irrinunciabile per creare le premesse di ogni buon allenamento. Ma allora è utile o inutile? Non è allenante però se non cammini poi non corri come si deve. Perché mica mi è poi così chiaro se a conti fatti sia un preliminare necessario che poi puoi abbandonare o, al contrario, un’attività complementare che permane pure quando impari a correre più veloce che puoi. 

Esistono davvero i progressi, le cose di cui ti liberi per fare spazio a quelle più evolute e complesse? O invece conserviamo tutto quello che siamo e che abbiamo imparato assieme a tutte le altre che acquisiamo per farci forza e continuare a crescere? Che poi in realtà a me questo importa poco: io cammino perché è l’unico modo che ho di stare tranquilla assieme alle mie fissazioni mentre provo a non restare ancorata alla terra con entrambi i piedi come una zavorra. 

Oggi è Pasqua e a me di questo piace solo il fatto che domani è un lunedì di festa e che tra poco è maggio e che il giro di boa di quest’anno, per me di mera transizione, si avvicina a grandi passi. Sì, è da quando è iniziato quest’anno che vivo come se fossi in modalità “attesa” perché quello che sto aspettando non riguarda questo arco temporale ma, forse, il prossimo o quello ancora successivo. E così lo tratto come quella camminata che fa bene ma non è allenante, che è necessaria, preparatoria, ossigenante…ma che alla fine non restituisce risultati. In fondo sono belli pure gli anni così, quelli che sembrano non dirti nulla e darti ancora meno e che puoi solo sperare di riempire con quello che hai già,  quelli che non contemplano sorprese ma che alimentano le attese e ti fanno immaginare meglio la meta. 

Sono le tre del pomeriggio. E io non ho ancora fatto un passo. Entro le sette devo uscire a camminare. Non è allenante ma fa tanto bene. Come il lunedì dopo Pasqua. Come il tempo che ci vuole per essere pronti a correre 

martedì 1 aprile 2025

Ricomincio da più o meno chissà

 Primi tre mesi andati. Non che questo voglia dire chissà cosa, ma almeno l’inverno è superato, i prossimi obiettivi sembrano prendere forme meno indefinite e la luce racconta un umore che cerca a tutti i costi di rifiutare la cupezza. Rinnegare categoricamente la trappola dei buoni propositi senza smettere di fare cose, andare, muoversi, fuggire in ogni modo dal vuoto…tutto aiuta in questa perenne condizione di transito inarrestabile finché si hanno abbastanza risorse per farlo. Cosa è successo? Potrei anche soltanto farmi bastare un bel viaggio in America con la voglia di ritornarci quanto prima, perché mica sapere che Trump è l’uomo sbagliato in un tempo che pare cucito apposta per lui mi fa pensare automaticamente che certi luoghi non meritino il mio incanto e la voglia di esplorarli ancora e ancora.

E poi continuo a sperare che si sblocchi una situazione che mi sta molto a cuore e per la quale ho deciso che non taglierò i capelli per tutto il tempo che sarà necessario. E’ una cosa stupida lo so, ma quando tieni tanto a qualcosa la superstizione, o se si vuole un qualche piccolo atto di fede, sono molto consolatori. Chissà. Per il resto mi pare che la vita proceda secondo i canoni di una gioiosa prevedibilità, fatta di routine, menu preparati per tutta la settimana, allenamenti seguiti con la disciplina di chi deve andare a vincere tutto (mentre di fatto stramazzo a terra ogni volta pensando che sia ormai l’ultima). Il mio problema è che penso troppo ai domani. A tutti i miei possibili domani troppo carichi di cose che non saprei dove trovare nei miei oggi. E così non faccio altro che cercare di creare tutto lo spazio possibile per accoglierli al meglio, predisporli esaltando un vuoto senza sapere bene in che modo riuscirò a riempirlo. E mi accorgo chesenza ammetterlo, anche io sono cascata nella trappola dei propositi per l’anno nuovo secondo un automatismo che ci vuole sempre tutti proiettati verso qualcosa d’altro o di aggiuntivo rispetto al nostro presente. E invece io vorrei amare il mio qui ed ora, vorrei non volere altro che quello che mi è toccato adesso, pur nella sua insensata incompiutezza, semplicemente perché è già assai meglio di quello che mi è toccato ieri e in tutto il mio passato anche meno recente. In fondo è questa la vera forza di chi non ha ancora capito bene niente di niente di sé e di quello che gli è toccato fare: non avere nostalgie e trovare assurdo anche solo ipotizzare di tornare a qualche momento del passato. Io neanche per idea. Però mi ricordo con tenerezza di certe mie ossessioni ormai scomparse e della forza incontenibile che generavano:che ne so, per esempio credo di essermi laureata soltanto perché pensavo che il mio prof fosse un supereroe da conquistare a tutti i costi…ed altre inenarrabili burinate esistenziali della mia giovinezza. Già, sui sentimenti non raggiungerò mai il livello minimo di alfabetizzazione e per fortuna non c’è modo di rimediare ormai. Oggi mi rimane la venerazione per Moretti, Vasco, Lady Oscar, Lynch…cose innocue per le quali posso ancora riprodurre struggimento infantile senza nulla pretendere. 

E’ bello non assumersi l’impegno di fare propositi, perché tanto in qualche modo una strada per nascere crescere e farsi riconoscere quelli la trovano sempre. Pure in primavera. Persino se hanno bisogno di me per venire al mondo. Vedremo…                               

sabato 15 marzo 2025

Quanto sono dieci anni?

 E sono dieci. Me la ricordo quella sera. Abitavo già in questa casa da un sacco di tempo, avevo preso un micio, al tempo invitavo ancora persone a cena pensando che fosse un metodo infallibile per costruirsi una rete di relazioni e radicarsi in un luogo dove non avevo nessuno, mi allenavo tanto ma ero molto più fuori forma di oggi, viaggiavo da sola già da un po’ di anni ma avrei preferito farlo con persone simpatiche e gioiose con cui condividere esperienze. Ma più di tutto sapevo che c’era qualcosa che non andava e non sapevo come sbrogliare matasse di perplessità, ansia, rapporti umani non soddisfacenti, solitudini antiche. E così quella sera mi ricordai che nel 2008 avevo già dato vita ad un blog che mi aveva dischiuso mondi del tutto nuovi e del quale avevo capito subito lo spirito e il mood che avrei voluto raccontare. Poi, con l’avvento di fb tutti noi militanti della scrittura “fluviale” ci disperdemmo nei mille rivoli delle connessioni insignificanti, basate sulle micro battute e le riflessioni da mezzo minuto, sui filtri alle foto e i meme. Tutto bellissimo (mai pensato male di nessun social al mondo. Lo trovo stupido come pensar male dei coltelli perché possono anche uccidere), ma il blog mi faceva proprio bene. E ricominciare ad averne uno mi ha fatto ricordare cosa intendevo. Nel frattempo avevo cambiato ogni cosa della mia vita, eppure il bisogno di mettere dentro uno spazio come questo fatti, pensieri storti, sventure o percezioni del mondo era lo stesso. Ho scritto anche cose così volutamente cattive che quando mi sforzo di essere una persona migliore ritorno a episodi precisi per avere riferimenti sulla mia parte malefica che sento di dover preservare.

Per esempio proprio oggi mi sono stupita quando ho constatato che sono esattamente nove anni da quella volta che scrissi tutto il mio disprezzo per il viscido collega foggiano per quella volta che gli feci gli auguri per la primogenita e lui col piglio di chi la sapeva lunga sulla vita mi diceva cose tipo “tu non puoi capire” e simili squallide amenità. E io, sapendo che colleghi professionisti della maldicenza avrebbero letto questo blog, gli scrissi tutto il mio disprezzo. Il giorno dopo venne a sapere anche lui quello che avrei voluto dirgli senza abbassarmi a litigarci dal vivo e mi finsi stupitissima. Che goduria, pari solo al giorno in cui se ne è andato dall’ufficio. Che meraviglia scrivere quel che si pensa evitando il confronto diretto con chi si disprezza. Ho usato questo metodo anche altre volte per le problematiche d’ufficio e i risultati sono sempre stati quelli voluti. Non è vigliaccheria, è dignità, eleganza, presa d’atto che c’è una umanità a cui non ha senso prestare ascolto. È strategia di sopravvivenza.

Ma scrivere è soprattutto liberatorio. Ci sono giorni in cui penso di considerarlo alla stregua di una seduta di analisi, al punto che qualche volta l’equivalente in moneta di quello che avrei pagato per lo psicologo e mi ci compro una sorta di piccolo premio di “consolazione”, dagli amori tossici, da quelli solo immaginati, da un lavoro che forse non sarà mai giusto per me, da quelli che facevano rumore al piano di sopra e poi ad un certo punto sono andati via e a me non pareva vero, dai lavori per il bagno nuovo, da una città che mi affatica e che però non potrei mai lasciare, dalle “mancanze”, dai ricordi orrendi, dai problemi che non potrò mai risolvere, dalla me tutta sbagliata e che non ho amato e dalla quale vorrei fuggire o che vorrei ridisegnare senza quelle parti. Dai ricordi pesanti e dalle colpe di cui sono responsabile. Dalla fatica di accettare che buona parte di tutti gli sforzi compiuti erano inutili, evitabili, dai risultati irrisori. Come faccio a saperlo? Lo sento e questo mi basta.

Il blog ha dalla sua la magia di illudermi di essere sola e senza filtri e allo stesso tempo mi consente di tenere una porta socchiusa per chiunque abbia voglia di sbirciare. Non che questo cambi la vita di nessuno. Eppure, non so come e neppure perché, in qualche modo funziona



mercoledì 5 marzo 2025

Giù dalla torre

 Quanto tempo. Quando non metto insieme un po’ del mio tempo in parole ho sempre come l’impressione che la vita di cui vorrei tener conto mi scivoli via prima che possa accorgermi di lei. E invece credo che sia bastato anche semplicemente esserci, godermi (letteralmente) il viaggio assieme a tutti i timori da avventuriera maldestra eppure curiosa, che si prefigura gli scenari peggiori possibili per poi calmarsi quando scopre che è tutto meno complicato di quanto immaginasse. Ma pure più bello e sorprendente di come sperasse. Ma ormai sono qui, in una Milano più calda e luminosa di quando l’avevo lasciata, di nuovo al lavoro e alle prese con le serie che avevo lasciato incompiute, con i pranzi da preparare per la settimana e questa piccola casa che prova a contenermi come meglio può. Sono tornata alle mie cose forse rendendomi conto soltanto ora delle proporzioni e delle altezze con cui mi sono misurata in una città che pure è così semplice da percorrere ed esplorare. Ad un certo punto ero di fronte alla Trump Tower e ho pensato che è ovvio che uno che possiede questa specie di piramide stilizzata poi gli viene naturale pretendere qualunque cosa.

Non ero pronta alle temperature così miti che ho trovato qui a Milano. Ho ancora le coperte sul letto e vestiti troppo pesanti nell’armadio e sono tornata troppo in fretta ai miei focus soliti. Dovrei ritinteggiare casa ma la sola idea mi devasta. Eppure ci penso da mesi. È strano come basti allontanarsi un po’ dal proprio abituale perimetro per ristabilire priorità e aspettative che prima parevano irrinunciabili

L’azienda che produce gli integratori che consumo abitualmente ha annunciato di punto in bianco che chiuderà  a giugno e la cosa mi ha fatto un effetto stranissimo: ti abitui a qualcosa, fino al punto di dare per scontato che l’avrai per sempre a disposizione, e poi all’improvviso questa sparisce senza che tu abbia minimamente pensato a una simile eventualità. Chissà come troverò l’alternativa e quanto impiegherò per convincermi che mi faccia altrettanto bene.

Ho recuperato la serie degli 883 e mi è piaciuta moltissimo, trovando la conferma che siamo bravi solo quando raccontiamo la piccola provincia paranoica e un po’ sfigata. Ma è con “the withe lotus” che sento che a scrivere certe storie e a definire quei personaggi sono stati talenti che hanno fatto tutt’altre scuole.

Sono stata via due settimane e mi sono accorta solo di quanto siano cambiate certe cose. Per fortuna ho già sonno e sono soltanto le 9 e mezza. Almeno questa non mi è nuova. Menomale



giovedì 6 febbraio 2025

Finte luci d’inverno. Di veri motivi di gioia

 Oggi c’è un sole pazzesco qui a Milano. Sono uscita in pausa pranzo con la precisa intenzione di assorbire più luce e calore possibili e illudermi così che fosse una breve interruzione anche per un inverno, in fondo piuttosto mite, ma pur sempre grigio e per me da sempre portatore sano di carichi aggiunti di fatica e cattivi pensieri. Tra un paio di settimane farò un viaggio che sognavo da tempo. È un posto un po' lontano e con diverse tappe. Speriamo bene.

Quando mi capita di camminare in zone molto silenziose e poco frequentate faccio strane connessioni tra quello che mi ritrovo ad osservare e le cose che mi passano per la testa quando mi riproietto nel passato. Oggi ho ripensato a quando abitavo a Suzzara (ormai 16 anni fa) e mi pareva che mi sarebbe piaciuto restarci per sempre pur essendo una cittadina piccola e nella quale non succedeva quasi niente. Avevo conosciuto un prof di filosofia che organizzava un cineforum che prevedeva la scelta di film anticipata da dibattito e lettura del corrispondente libro da cui era tratto. Diventammo amici e tanti furono anche i pomeriggi di lunghe camminate e racconti che ci videro assieme in quei gelidi sei mesi nella bassa padana. Quando sono partita non c’è stato modo di restare in contatto (colpa mia, non sono brava in certe cose) eppure lui, dopo otto anni, mi ricontattò per dirmi che si era gravemente ammalato e che io ero tra le cose care che voleva conservare di quegli ultimi scampoli di vita. Ora non c’è più e quando penso a lui sento addosso la spiacevole sensazione di non essergli stata abbastanza grata per l’affetto davvero troppo grande che mi aveva concesso durante quei pochi mesi di reciproca compagnia. Ma ho imparato a fare più attenzione al valore di certi gesti.


Da quest’anno faccio smart working anche io. Non me lo sono concesso prima perché avevo il timore di rompere una routine e quindi la certezza dei passaggi per fare tutto quello che devo. E a me questo spaventava moltissimo. E così, proprio per questa ragione, ho pensato che fosse doveroso rimodulare il mio quotidiano in nome di una minore rigidità nelle abitudini e nell’approccio alle giornate in generale. Essere flessibili può essere un facilitatore dell’esistenza e io devo cominciare a capire che non c’è colpa in questo e approfittarne prima o poi.


C’è il sole ma è ancora inverno. E io d’inverno vorrei solo mettermi in stand by in attesa di periodi nei quali mi sento come con i vestiti comodi. L’inverno è pieno di cuciture che mi segnano la pelle e per quanto mi copra c’è sempre una parte di me (le mani, il collo, la testa) che ha più freddo del resto del corpo. Non c’è armonia di sensazioni. C’è qualcosa che rimane inconsolabile. L’inverno è stonato per definizione. Lo so che questo può capitare anche alle altre stagioni per altri motivi. Ma io ho un problema con questa fase dell’anno che parte dalla carenza di vitamina D, si estende alle colpe del passato per arrivare dritta ai geloni alle mani. E quando tutto questo passa è già troppo tardi. I segni restano addosso per sempre, pure quando l’abbronzatura estiva li copre e il caldo mi distrae dai loro effetti o la luce mi ricorda che non esiste solo il grigio. Eppure io ho bisogno dell’inganno delle altre stagioni per riprendermi dalle crude verità dell’inverno. Ma anche una giornata di finta estate come quella di oggi, alla fine, non mi pare mica un regalo da poco  

lunedì 20 gennaio 2025

La solitudine. Prima dei numeri

 Me ne accorgo da dettagli impercettibilicome l’acquisto compulsivo di integratori dal nome improbabile che mi fanno pensare a delle iniezioni di energia simili a quelle illegali, dal rientro a casa che coincide con l’urgenza di andare a dormire prima possibile, oppure dall’organizzazione delle giornate in modo da minimizzare la dispersione di energia e le cose da mettere a posto, il bisogno potenziato di silenzio e isolamento. Questo inizio anno mi ha trovato stanca in quella maniera per la quale mi sento colpevole persino ad ammetterlo visto che è senza una spiegazione reale. Non lavoro in miniera, non faccio un lavoro stressante, non gareggio per le Olimpiadi. Però è così, mi sento come svuotata e priva di ogni slancio. Ho lasciato intatte solo le cose che non riesco a smettere di fare: allenarmi secondo il calendario, andare al lavoro, coltivare le mie due o tre passioni residue fatte di MUBI e libri di poche pagine. Per il resto ho solo bisogno di dormire e non cedere alla tentazione di fare qualsiasi cosa di nuovo. Se non mi conoscessi penserei che è così che cominciano le depressioni striscianti, quelle che colpiscono soprattutto persone dall’indole malinconica che col tempo finiscono per conviverci senza l’urgenza di venirne a capo facendosi aiutare da qualcuno. Mi conosco e so di non attraversare quella condizione perché ho troppo rispetto per la fragilità di un depresso per permettermi di lamentarmi della mia abulia da transito verso un anno che non sento ancora come nuovo. Forse è solo questo Blue Monday che mi fa parlare, o la tristezza infinita che provo per la morte di Lynch a cui non ero affatto pronta e che mi ha addolorato oltre le previsioni. Il fatto è che c’è qualcosa dentro questi giorni strani che mi respinge altrove, come se volesse escludermi e mi facesse pesare il fatto che io ci sia ugualmente. E io vorrei pure poter farmi da parte, ma non mi è davvero possibile. 

Ogni tanto fb, che ormai pare conoscermi piuttosto bene, mi proporne pagine di “self-improvement (di solito si tratta di elenchi motivazionali per lo più destinati a sportivi o a persone poco integrate nel consesso sociale che devono potenziare aspetti del loro carattere considerati fragili) e di solito l’esortazione maggiormente declinata è quella di imparare a stare da soli il più possibile. L’idea di fondo è che gli altri siano solo una distrazione dispersiva e che soltanto restando concentrati e totalmente focalizzati sui propri obiettivi si possa migliorare come persone, così che soltanto dopo il proprio percorso di evoluzione e di crescita in solitaria si possa tornare nel mondo ed essere d’aiuto e di esempio per qualcun altro. Devo dire che questa cosa mi ha sempre convinto molto: anche io credo che il concetto di uomo come “animale sociale” abbracci un malinteso senso del ruolo di ciascuno di noi nelle relazioni umane: è vero che nessuno sopravvive senza l’altro perché siamo inevitabilmente il frutto di una rete di relazioni di dipendenza “organizzativa”, ma essere un animale sociale non vuol dire necessariamente essere un animale “socievole” ed è per questo che esistono i solitari e quelli che hanno deciso di rompere il patto sociale in nome di una vita fatta di isolamento per connettersi meglio con se stessi. Io credo che questo sia assolutamente possibile sia come scelta esistenziale che, a maggior ragione, per periodi temporanei della propria vita.


Ho pensato a lungo a questa cosa perchè solo qualche sera fa sentivo Bersani in un talk affermare esattamente il contrario. Lui diceva che la destra (ormai) “globale” sta affermando una pericolosissima idea di individualismo che a sua volta è fonte non solo di guerre e odio tra i popoli ma anche, nelle coscienze dei singoli, delle forme di individualismo e di diffidenza esasperata nei confronti dell’altro. Perché è questo il modo in cui opera il tardo capitalismo e chi vede in una società sfilacciata e fragile un modo facilitato di esercitare il potere. Ovvio che questo sia assolutamente vero. Eppure rimane il fatto che io non ce la faccio, che sento di aver bisogno vitale di pensarmi sola per quanto più mi sia possibile per poter ricaricare le energie e che non riuscirei ad offrire tempo di qualità tale da accrescere il valore del confronto dialettico rispetto alla mera riflessione individuale. Non è facile ammetterlo, eppure ci sono tempi in cui la fuga da tutto, almeno per un po’, appare come la sola salvezza possibile. Se non per tutti, probabilmente per qualcuno. Sicuramente per me.    

lunedì 30 dicembre 2024

Metto in agenda

 C’è una parte di colposa omissione nell’affermazione un po’ spavalda del mio non fare mai buoni propositi per l’anno nuovo. Non che non sia così: mi pare abbastanza pretestuoso delegare ad un anno (sempre il prossimo) la responsabilità della nostra svolta. Come se in quel susseguirsi sempre meno definito di quattro stagioni si insinuasse la perfetta combinazione di azioni e fortuna capace di traghettarci finalmente lì dove meritiamo di stare. No, io non sono dotata di questo ottimismo un po’ fatalista che si lascia contenere in un lasso temporale che la convenzione ha deciso per tutti.

Però mi piacciono le agendine. La mia personale svolta parte da quando ho cominciato a comprarne una all’anno e ad annotarla quotidianamente con la dedizione di un monaco certosino: ci sono dentro tutte le scadenze, le date di viaggi, i posti visitati e relative impressioni, tutti i corsi seguiti, i film che ho amato di più, gli allenamenti e la relativa durata, le frasi che ho letto o ascoltato e che voglio ricordare, persino alcune parole chiave che definiscono lo stato d’animo in un momento preciso…oggi ho ripreso quell’agendina verde  che mi ha accompagnato ovunque e che ormai è completamente logora. Non c’è giorno in cui non ci sia scritto qualcosa che mi pare più rivelatrice oggi di allora. Avrei potuto farlo in qualsiasi altro modo, per esempio segnandomelo sul cellulare o sull’ ipad. Ma senza la percezione tattile di pagine che rinnovano l’esperienza giornaliera e che nel frattempo si deformano, acquistano spessore, si logorano è come se mi mancasse la prova più tangibile di una vita che sta offrendo prova di sé. E a me questo conforta molto pure se a rileggere tutto non mi riesce di capire se quello che è successo, che ho provato a fare, che ho scelto…sia poco oppure abbastanza per quella parte di me che ci spera e ci prova sempre.

Non mi piacciono i bilanci, proprio come non mi piacciono i propositi eppure sfido chiunque a starne del tutto fuori quando si passa per questi giorni qua. Potrei provare a non farmi domande stupide del tipo “E’ stato un anno buono?” e ammettendo invece di essere stupida, cosa potrei rispondermi? Che non mi sono ammalata ma neppure ho vinto alla lotteria, che ho un buon lavoro ma che di certo non è quello dei miei sogni, che fino ad ora la brutta notizia che aspettavo non è arrivata ma non so quando arriverà quella bella in cui sto sperando, che ho conosciuto persone che mi piacciono ma che sono davvero troppo poche…cosa fa di un bilancio di un segmento di vita un tempo in attivo? Mi piace di più fidarmi del processo, pensare che sia un semplice e non definitivo tassello di una vita che ha una sua definizione più ampia che mi chiede solo di essere abbastanza abile da intuire e svelare.

Stanotte ho dormito per ben 14 ore. Ad un certo punto sono crollata come un sasso. Forse il mio corpo non ne poteva più e mi ha detto: “Stai vedendo Irma la dolce per la trecentesima volta. Dormi e recupera tutta l’assurda fatica che fai mentre procedi per tentativi in questa landa di solitudine e abitudini che ti sei scelta”. In mattinata avevo fatto l’ultimo massaggio dell’anno: le mani magiche della piccola signora tailandese devono aver toccato le corde più giuste di sempre. Poi ho camminato fino ad una casa museo di via Montenapoleone, dove, prima di entrare, ho visto persone incantate a fotografare Lamborghini viola e gialle che sfilavano senza alcun carisma e vetrine di Marchesi con panettoni che sembravano delle sculture da restituire alla storia più che allo stomaco. C’era un sole bellissimo e un’atmosfera magica che credo di aver attraversato per ore fino allo sfinimento. Sono arrivata a piedi fino a via Cadore e c’era il 66 che aveva soltanto me da portare via. Sono rientrata ad ora di pranzo e avevo fatto in modo che fosse già tutto pronto e in ordine. E’ stato forse in quel preciso momento che credo di aver pensato che tutto era come doveva essere e che il mio unico merito era stato quello di rendermi disponibile per tutto questo. E poi ho pensato che la felicità la capisci quando ti sfinisce tanto da suggerire il riposo come unica reazione possibile. Ho dormito 14 ore e non mi ricordo quando mi sia successo prima d’ora.

Niente bilanci e un’agendina nuova. Io mi sto preparando. Ma non è questa la novità

mercoledì 4 dicembre 2024

Di cambiamento e di stagioni

 Vivo a Milano esattamente da 15 anni e da quando abito nella mia attuale casa comincio sempre in questo modo qui: sveglia alle 4:35, accendo la radio, metto il caffè, vado in bagno, accendo il riscaldamento, mi siedo su una specie di pouf contenitore. E finalmente fisso il muro per tutto il tempo che sorseggio il caffè (tazza grande per fortuna). A volte, durante il giorno, quando le mie facoltà mentali sono meno precarie di quel momento lì, mi immagino ripresa da una videocamera con timing accelerato che mi riprende come se fossi un pupazzetto della lego che ripete questa sequenza di operazioni con ciclo infinito e sempre identico. Una specie di cricetino ossessivo che rincorre la sua routine mattutina. Chi mi conosce sa anche che subito dopo io stenderò un tappetino, prenderò dei pesi di portata variabile, aprirò la piattaforma degli allenamenti a cui sono abbonata e comincerò il workout che mi toccherà gestire mente ho ancora gli occhi gonfi di tutto il sonno del mondo. E’ una cosa tremendamente faticosa che non è vero che viene mitigata dall’allenamento, perché io nel frattempo invecchio e mi logoro, ma purtroppo non so ancora come fare per smettere. Perché si fa presto a dire che basterebbe semplicemente non farla e mettermi in doccia e uscire come credo facciano tutti, pure quelli che si allenano ma trovano normale farlo anche in altri orari. Per me questo è impossibile: se io comincio la giornata senza fare questo sforzo smisurato prima di cominciare la giornata vera e propria sento di aver già fallito su tutto il resto, è come essere certa che tutto andrà male, che non merito nulla di buono e di bello che potrebbe accadermi da qui ai prossimi trent’anni. Credo che ci sia qualcosa di vagamente patologico in un simile atteggiamento, tanto più se penso che non ho alcun tipo di obiettivo atletico o di forma fisica: ne ho avuti, ma adesso proprio no. Ho passato anni a ripetermi che la disciplina è fondamentale per stare al mondo e adesso non so come uscire da questo loop così estenuante…ma vabbè…finchè il ginocchio destro non deciderà di esplodere definitivamente mi farò ancora urlare dal tablet “forza non mollare proprio adesso” da una strafiga che avrà almeno vent’anni meno di me. 

Da un po’ di giorni ripenso ad un film stupendo visto al festival di Longtake che mi ha stimolato una considerazione su quello che accade quando dentro di noi avviene un cambiamento di cui non ci accorgiamo perché avviene indipendentemente da un nostro preciso intendimento. Ci pensavo anche stamattina, mentre venivo al lavoro (completando la mia routine dei 4 km a piedi…manco a dirlo) e mi sono chiesta quanto nella mia vita da adulta e ormai autodeterminata ho desiderato essere in un certo modo applicando delle modalità precise per cambiare e quanto invece sono cambiata senza accorgermene ma semplicemente perché il tempo è passato e mi ha attraversato lasciando il suo segno senza che io potessi farci niente. Succede davvero? E’ possibile che cambiamo senza rendercene conto? Oppure siamo totalmente responsabili di quello che diventiamo? Anche come soggetti consapevoli e non più degli adolescenti a cui perdonare ogni scelleratezza?


Il film stupendo di cui parlavo si intitola “Le occasioni dell’amore” (ma tradotto dal francese sarebbe stato un più corretto “fuori stagione”) che raccontava di due che si ritrovano dopo 15 dalla fine della loro storia d’amore. Lui l’aveva lasciata per inseguire il sogno (poi avveratosi) di affermarsi come attore e lei, soffrendo, ha poi provato a realizzare se stessa nella famiglia e insegnando il piano. Ritrovarsi riaccende la passione. In realtà, forse, è stato altro. Forse quell’incontro non era esattamente un ritrovarsi, ma conoscersi e innamorarsi per quello che sono diventati in quel preciso momento, certamente diversi da quello che erano al tempo di quella prima separazione. Oppure hanno amato il loro tempo perduto, le occasioni mancate, quel che erano al confronto quello che sono oggi grazie ad un tempo che li ha plasmati e forgiati, lavorando anche per questo loro ritrovarsi? 


 E’ sempre strano per me pensare al destino e ai suoi scherzi e chiedermi come cambia le carte o se in qualche modo noi stessi disegniamo le traiettorie a nostra insaputa illudendoci che ciò che non è successo è solo perché la sorte alla fine ha deciso per noi e non ha voluto accontentarci. Quei due 15 anni prima non erano fatti per stare assieme. Ma dopo 15 anni forse sì. E allora perché non provarci stavolta? E’ lecito impedire all’amore di approfittare del suo tempo giusto malgrado la stagione sbagliata? E’ lecito provare a raggiungere qualsiasi obiettivo quando tutto pare contraddirci? Ma che ne so. Ma che me ne importa, oggi, dopo 15 anni che vivo qui e che tutto mi pare diverso tranne me. Cosa ne posso sapere io che se non faccio sempre esattamente la stessa cosa per ogni prima mattina che apro gli occhi mi viene da andare a costituirmi…

 

Il buongiorno si vede dopo

 E alla fine maggio è passato davvero e io, mai come stavolta, non vedevo l’ora che accadesse per via di quelle risposte che attendevo e che...