lunedì 27 ottobre 2025

Di finestre. Di cortili. Di autunni


 E come se nulla fosse è tornato l’autunno, il buio presto, le mani fredde, i fazzoletti sempre in tasca. Io non ho nulla contro il normalissimo avvicendarsi delle stagioni: la mia scelta convinta dell’estate come unica stagione conciliabile con una vita in cui le aspettative hanno speranza concreta di realizzazione è ormai assodata. Per me l’autunno è una mera rivendicazione di lentezza, di assestamento verso l’abulia, un’autorizzazione a quella speciedi intontimento depressivo funzionale ad una futura auspicabile rinascita da riparametrare e riprogettare dalle fondamenta. Saluto questa fase dell’anno con la stanchezza di chi sente il peso di un anno che ha ormai detto ogni cosa e che per me già dall’inizio si proponeva come di transizione, senza stazioni di servizio con in vetrina souvenirs di pregio. E’ da quando è cominciato che non vedo l’ora che finisca e forse per questo stavolta l’autunno mi pare meno energivoro e malinconico del solito. Che poi mica mi lamento eh. Se ho avuto voglia di andare a New York per due volte e non ho mai saltato gli allenamenti neppure con un ginocchio ormai fuori uso, vuol dire che ancora mi importa di questo mio piccolo mondo pazzo e sconclusionato che abito spesso in solitudine e qualche volta in ottima (poca) compagnia.

Ho scoperto da non troppo tempo una cosa piccolina che accade tutti i giorni, sempre alla stessa ora, proprio davanti alla mia finestra. La premessa è che io abito al piano rialzato di un piccolo condominio di corte. Non ho balconi ma le mie due finestre affacciano proprio sul cortile. Da circa tre anni alla scala accanto è venuta ad abitare una famiglia con due bambini. Il maschietto va alle elementari e tutte le mattine esce da solo con il suo zainetto (la scuola è a trecento metri e la strada è sicura), arriva esattamente al centro del cortile, si gira e saluta la madre che lo guarda dalla finestra. Mi sembra una cosa davvero simpatica e tenera oltre che in totale controtendenza con quello che vedo fare in questa città con bambini che vengono accompagnati col suv quasi fino alla porta della classe da genitori che in realtà li ignorano completamente durante l’intero percorso. La periferia di una grande città è un piccolo mondo ibrido fatto di pezzettini sparsi di cose diverse tra loro che alla fine stanno insieme in un modo funzionale e virtuoso che ho imparato a riconosce e apprezzare. E così, da quando ho fatto questa scoperta, quando penso a come starei più comoda se vivessi a Porta Venezia, mi ricordo che vivere in una città prendendosi allo stesso tempo i benefici di un piccolo borgo e della campagna circostante è un valore aggiunto riservato a pochi ed è quasi un bene che non tutti lo sappiano e preferiscano altri luoghi in cui starsene.

Cosa chiedere all’anno che verrà? E’ una domanda lecita visto che al supermercato ci sono già i panettoni e gli addobbi. Io so per certo che, se ci arrivo, mi accadranno almeno due cose importantiperché hanno richiesto anche questo tempo “invisibile” per trovare una propria dimensione. Ma non basta. Il peso specifico del mio tempo residuo a disposizione richiede un aggiustamento urgente verso l’alto e io ancora non so cosa inventarmi. Spero che ci pensi il caso al mio posto. potrei promettere che sarò brava a riconoscerne le potenzialità, ma in realtà vivo nella culla di un limbo sospeso tra il disincanto e l’urgenza realizzativaHo poco più di due mesi per immaginare come e quanto davvero cambieranno le cose che mi stanno a cuore nel corso del prossimo anno. Forse per allora anche il bambino delle elementari smetterà di voltarsi verso la finestra e salutare la sua mamma. E forse proprio in quel momento capirò che è davvero cambiato tutto  

lunedì 6 ottobre 2025

Meno male. Per sottrazione (se non per divisione)

 


C’è un momento preciso in cui lo capisci davvero. Non che non te ne fossi accorto prima, ma era più comodo far finta di nulla. O meno doloroso e disarmante. Con i legami questa cosa succede continuamente: si abbozza con le amicizie, sul lavoro, nelle frequentazioni che nascono da interessi comuni. Più complicata è la questione sentimentale o con i familiari stretti. Ma alla fine è sempre quella roba lì: una sensazione strisciante di forzatura, frustrazione, fallimento, autosabotaggio e mortificazione. Per me è sempre stato così. I “non detto” hanno il potere intangibile di modellare a nostra insaputa tutta una vita, forse perché non sai davvero contro cosa combattere, è una forza oscura e non catalogabile che corrode come certi acidi di cui percepisci la pericolosità solo quando vedi il fumo e la schiuma. Ma adesso che ne ho imparato le ragioni di fondo, quelle che stanno tutte lì - nei primi anni della mia vita, quelli che non ti schiodi di dosso neppure con millenni di terapia - li vivo come un piccolo tesoretto da cui ricavo la mia rendita esistenziale per la maturità. Non è questo un confessionale e mi faccio bastare il fatto che ad oggi non invidio nessuna famiglia. Per me sono tutte sbagliate a modo loro. Quelle “riuscite” esistono solo nella misura in cui sono più brave a raccontarsela con errori e omissioni (eh, sempre loro - le cose non dette…). Ma in realtà stanno male pure quelle. Perché tutto ciò che nasce, cresce e si sviluppa in un contesto sbagliato, innaturale, marcio, ingiusto come questo tempo e questo mondo…non ha speranza di felicità. Però è bello vedere che con ostinazione ci si prova, si pianificano affetti e il futuro come se bastassero i legami a rendere il passaggio in terra una garanzia di esistenza piena. Io stessa l’ho sperato per anni. Ma ho scoperto che la mia vita è più bella da quando me la racconto in un altro modo e senza illudermi o ostinarmi.

Ho ancora la testa al mio viaggio in solitaria a New York. Sto idealmente pianificando un terzo ritorno assieme a tutte le esperienze che vorrei ancora fare e gli altri luoghi d’America che vorrei raggiungere partendo da là. Più di tutto mi è rimasta nel cuore un lugnhissima passeggiata in quella meraviglia assoluta che è Central park nella cui calma assoluta (e paradossale, se pensavo che ero nel pieno centro di una delle città più caotiche e rumorose che esistano) mi ricordo che ho pensato ad una ad una alle occhiatacce di mia madre per impedirmi di parlare da piccola, ai giocattoli negati, alle assenze, alle disattenzioni di entrambi i genitori, ai problemi che erano sempre altro da quello di cui io avevo bisogno. E poi mi ricordo di quanto io stessa non fossi una bambina amabile, di quanto spesso piangessi a scuola e mi incapricciassi per ogni cosa. Eppure ricordare e camminare in quel posto magico mi faceva star bene lo stesso. Non ho più nessun rancore e nessun senso di colpa. Continua a dispiacermi ma in quell’atmosfera sospesa e rarefatta, dove ogni cosa mi pare che possa ripartire dal via, ricordo di una sensazione di pace inattaccabile. E così, quando sono tornata e ho capito che tutto sarebbe cambiato ho cominciato a prendere un paio di decisioni importanti senza dirle a nessuno, senza chiedere pareri, conforto, riscontro come ho sempre fatto. E per la prima volta ho avuto la sensazione di rispettarmi davvero e che persino questo sia grave perché credo di aver aspettato decisamente troppo. Ho cominciato con le cose da buttare, poi con le persone su fb che non sento più come riconoscibili, poi con quelle reali, fini ai vincoli più stretti. Vivere in sottrazione non è l’unica soluzione possibile per alleggerirsi. Credo che la migliore resti sempre e ancora la condivisione: una distribuzione allegra, tra compagni di viaggio che si sono scelti e riconosciuti, di tutto il dolore e il passato sbagliato che ci comprime ed opprime. Questa sì che sarebbe una formula perfetta di felicità possibile. Ma io non ci sono riuscita. E i conti li posso fare soltanto con quello che ho. E che finalmente non voglio più




giovedì 25 settembre 2025

Un anno (a) folle

 La cosa bella degli anni che ho deciso di battezzare come “di passaggio” da una fase che - sempre io - ho deciso che si è conclusa e un’altra che - ancora io - ho deciso che sta per iniziare, hanno il vantaggio di non dover dimostrare nulla. Non includono obiettivi o traguardi definitivi, non determinano nuove traiettorie esistenziali o progetti da implementare, non pretendono di determinare delle svolte deflagranti. Se ne stanno lì come la nottata che deve passare, come un allenamento per la definizione e non per la massa, come quegli orrori non meglio definiti come le diete di mantenimento o l’antipasto a base di cetriolini. Ci sono fasi neutre che procedono senza picchi di entusiasmo e per fortuna pure senza abissi di disagio estremo. Sono gli anni che mi scelgo per dare alla tregua diritto di asilo in un tempo di cui non riesco a cogliere le logiche. I primi nove mesi di quest’anno li ho voluti proprio cosi come ho deciso che andassero. Il programma è  semplice, da applicarsi ogni volta che se ne sente la necessità: parto dall’assunto che senza una routine quotidiana molto rigida io non posso sopravvivere a lungo. Poi mi dico che ad un certo punto è assolutamente necessario che me ne allontani per concedere all’imprevisto e al nuovo di dischiudermi spazi inesplorati di meraviglia. E così parto per un viaggio che mi consenta di rompere ogni mio schema. Il viaggio fa il suo dovere e io posso tornare alle mie rigidità fatte di cose ripetute identiche ogni giorno e con la disciplina di sempre. Durante questo tempo io sostanzialmente sono in una condizione di attesa e pianificazione. Che pare niente e invece è un’attività piuttosto energivora perché mi obbliga a prefigurare scenari che sono ancora del tutto fuori dal mio controllo e dalle mie azioni. Ma tant’è: sempre meglio pensare che certi periodi siano inutili piuttosto che brutti e cattivi. O forse è il contrario, non saprei.



Da gennaio ad oggi il mio tempo pare pieno soltanto di cose “da riempire”. Mai per esempio avrei immaginato di andare per due volte in America e sperimentare una stessa città in modi completamente differenti e neppure che un progetto a cui tenevo si sgretolasse all’improvviso per poi essere rimpiazzato da qualcosa di molto meglio quasi immediatamente.

Da gennaio ad oggi non faccio che buttar via cose e cercare di fare spazio, come se tutto quello che davvero conta fosse soltanto ciò che ancora non c’è ma avesse già il suo posto pronto ad accoglierlo.

Da gennaio ad oggi mi esercito a dimenticare, che pare una cosa impossibile perché come fai a decidere di scordare proprio mentre stai ricordando? E poi ho capito che il dimenticare presuppone l’accogliere e l’accettare. Con queste premesse depotenzi il dolore fino a renderlo così insignificante da dimenticarlo. E a quel punto lo spazio per nuovi “da ricordare” lo hai creato.

Sono già passati nove mesi. In che modo potrei ancora giocare con questa specie di anno jolly in cui posso rimescolare le carte? Tra le mani ho un po’ di giorni di ferie residui, degli ingressi al museo, qualche ottimo film da vedere, ancora un po’ di cose da buttar via, qualche allenamento cardio che tra poco mi manderà al creatore…penso di potermi divertire ancora un po’ girando a vuoto. Se la fortuna mi assiste.

Quando sono tornata a New York per la seconda volta sapevo già cosa avrei fatto e visto. Ho rispettato il calendario in ogni minimo dettaglio, rispettando una scaletta che partiva dalle 6 del mattino fino alle 10 di sera per una settimana. Sono partita senza aver fatto l’assicurazione sanitaria. Un po’ per dispetto e senso di ingiustizia,  un po’ per fatalismo, sapendo che se mi fossi fatta male anche poco l’avrei pagata carissima. E mi ricordo che quando ho affittato la bicicletta per andare a central park non ho messo neppure il caschetto che avevo in dotazione, sempre in ottemperanza al principio che avrei adottato tutta la mia attenzione e cautela. Il resto lo pretendo dalla buona sorte. Mi è andata bene e prometto di non ripetere l’esperienza in questi termini. Però il concetto era questo: permettere al mio anno di transizione di accompagnarmi verso tutto quello che mi sto preparando ad affrontare, che non sarà solo passiva sottomissione agli eventi, ma una gestione attiva, con i muscoli tonici e un atteggiamento lucido verso quello che vorrei attrarre. Per questo bisogna ricaricare le batterie, farsi trovare pronti. E “pretendere” che la fortuna faccia poi tutto il resto.


martedì 2 settembre 2025

Nel frattempo

 



 E alla fine pure quest’estate ci saluta assieme al suo carico di retorica da nuovi inizi, di buoni propositi, di ripartenze, di rivoluzioni esistenziali delle quali settembre si assumerà poi tutta la responsabilità prima di cederla ad un qualunque gennaio degli anni a venire. Io ho smesso di cadere in certe trappole da ormai tanto tempo e precisamente da quando ho deciso che le cose che contano nella mia vita non dovranno mai risentire della periodizzazione limitata per realizzarsi e che dovranno invece far parte di me e del mio quotidiano senza interruzioni, senza cedimenti. Portare avanti delle intenzioni finchè la forza e la fiducia in esse me lo consentiranno. E così se mai dovessi decidere di cominciare cose nuove accadrà soltanto assieme alla certezza di poterle portare avanti con la stessa costanza e disciplina con cui faccio tutto il resto.

Mentre l’estate procedeva senza portarmi in nessuno degli infiniti altrove che avrei potuto occupare per sfuggire ad un caldo che per fortuna non è mai stato insopportabile, ho preparato la valigia per tornare in un posto che ho voglia di vedere meglio.  
Nel frattempo è anche successo che:
·   *  ho compiuto 49 anni. Ho fatto una carezza ad ognuno di loro. Non ne darei indietro neanche mezzo
·    * sono riuscita a non tagliare i capelli e vorrei riuscirci fino ai 50
·    *  sono stata in perfetto silenzio per giorni, per poi pensare che non capisco cosa spaventi dello star soli con se stessi anche per periodi indefiniti di tempo
·     *  ho buttato vestiti che mi piacevano molto solo per esercitarmi a lasciar andare senza rimpianti anche le cose a cui tengo di più
·    *  ho smesso di mangiare il pesce. Con la carne è successo almeno dieci anni fa senza che neppure me ne accorgessi. Con i crostacei sto ancora cercando di elaborare il mio lutto gastrico
·    *   ho razionalizzato il numero dei miei abbonamenti streaming trovando l’esperienza più dolorosa e complessa di quanto pensassi. Le serie a cui ti affezioni sono dei pezzi di vita che allargano la tua
·     *  sono andata a letto prestissimo. Più o meno dopo i primi cinque minuti di un qualsiasi dibattito preserale sulla questione israelo-palestinese. Credo che sia la sola cosa possibile per evitare di vedere e sentire delle assurdità
·    *   E’ stata un’estate milanese mite che mi ha visto trottare tutta feliciona e baldanzosa per musei e cinema senza mai desiderare di essere altrove neppure nel giorno di ferragosto
·     Ora che sono rientrati tutti posso finalmente cercare spazio altrove senza rimpianti
Il futuro non è scritto ma ognuno se lo immagina. Il mio non so quando sia ufficialmente cominciato. Con gli inizi non ho familiarità. Io so soltanto continuare. E solo a modo mio  

martedì 19 agosto 2025

E tu cosa usi per le superfici?

 


Con lui non ti puoi distrarre. E’ subdolo perché lavora in silenzio, fa ostruzionismo anche quando non ti ricordi che  ci condividi elementi delicati di spazio comune. Eppure poche cose restituiscono il conto della noncuranza distratta come quella specie di fantasma immateriale che vince proprio nell’istante in cui si manifesta. Il calcare fa così, ti illude di non essere un problema fino a quando non lo vedi e farai più fatica a liberartene, ammesso di riuscirci.
Tantissimi anni fa, durante una trasmissione radiofonica che trattava temi di cuore (uh, quanto ero giovane per dedicarmi ancora a certe cose) il conduttore ad un certo punto paragonava la qualità dei rapporti al tipo di cura che si riserva al calcare: puoi impedire che ostruisca il libero flusso dell’acqua di cui esso stesso è composto solo quando ancora non ci sono insidie, quando pulisci le impurità giorno dopo giorno con la stessa ossessione di chi adotta precauzioni contro pericoli che preferisce scongiurare piuttosto che affrontare. Per me la doccia con i buchini ostruiti è un grande classico a cui non sono mai sfuggita, così come il lavabo pulito ma opaco, le goccioline random sul vetro della doccia. Tutte le volte lo stesso senso di sconfitta per una battaglia che dimentico ogni volta di combattere.
E’ così che pare funzionino pure i rapporti: ad un certo punto perdono luce e quel piano inizialmente scintillante e levigato su cui scivolava un quotidiano che si confrontava soltanto con superfici lisce e intonse ad un tratto mostra il suo lato opaco, degli attriti prima inesistenti, aloni di incomprensione (solo apparentemente) provenienti dal nulla e del tutto inattesi. È così che pare prendano il sopravvento il soave esercizio di volontaria incoscienza degli abissi oscuri dell’incomprensione reciproca, il lavoro subdolo, tacito e apparentemente invisibile di una disattenzione, di un vivere di rendita con la luce abbagliante di legami che implorano una cura speciale proprio quando funzionano meglio.
Non l’ho mai scordato quel bel paragone in frequenze medie di un sacco di anni fa, quando ancora non vivevo per conto mio e manco mi ero mai posta il problema, poi diventato mia principale ossessione domestica, di combattere il calcare con ogni arma chimica o naturale possibile. Confesso che a volte l’ho lasciato fare, ormai forte dei miei strumenti potenti per combatterlo, per poi poter vivere la gloria del rinnovato splendore proprio quando tutto sembrava perduto: si diventa meno intransigenti quando si è sicuri dei propri metodi di soluzione. Chissà se nel frattempo hanno inventato prodotti altrettanto portentosi e dai rapidi risultati pure per far brillare le relazioni opache o almeno preservarle dall’appannamento futuro. E se sì, quanto costano? E chi le compra? E quanto durano?

lunedì 11 agosto 2025

Cose che avrei voluto sapere di sapere

 




Ci sono cose che avrei voluto sapere molto prima. Ma proprio prima prima. Tipo dopo il diploma, prima dei vent’anni, prima degli occhioni lucidi e quell’espressione da Labrador lasciato ad ad aspettare fuori dal supermercato, quando le aspettative e la fiducia negli altri avevano trovato parcheggio in zona vietata. Per chi come me si ritrova spesso a ripensare ai propri traumi giovanili e ancora prova ad elaborarli è veramente consolatorio darsi dei consigli postumi per demolire almeno un poco la portata di quell’inutile fardello che ancora ci si porta dentro come una scatola degli orrori che batte ancora colpi dall’interno. Che poi non che mi sia mai successo chissà che eppure a volte lo sento prepotente il senso frustrante di una consapevolezza troppo tardiva.

Ripenso alla paura che avevo di certi prof di liceo che rivisti dopo il diploma mi hanno restituito il senso della loro piccolezza e dell’infimo cinismo di un ruolo non ben gestito. Avrei voluto sapere per tempo che la scelta del proprio futuro non va assolutamente delegata a nessuno e se al momento non si sa cosa fare va bene anche darsi un tempo di riflessione di cui non dover rendere conto a nessuno. Avrei voluto sapere per tempo che essere innamorati è bello ma che sarebbe stato infinitamente meglio non esserlo mai e che troppo tempo, pensieri e concentrazione ho riservato a cose che sono passate senza lasciare alcuna traccia. È brutto dirlo ma io lo volevo sapere prima che per l’amore non ho mai avuto alcuna attitudine e ostinarmi a pensarla diversamente credo mi abbia fatto fare tali e tante sciocchezze che mi chiedo cosa mi sia davvero persa di bello e di buono se avessi pensato ad altro. 

Che poi in realtà le cose che avrei voluto sapere prima sono che:

Il salmone, se non è quello selvaggio, non fa bene manco per idea

Che anche dopo due anni di yoga la sola posizione che mi piace è lo savasana. E basta

Sorridere e cercare di compiacere continuamente gli altri si rivelerà essere una fatica titanica, dissociante, frustrante e alla fine completamente inutile. Chi ti vuole bene lo fa a prescindere da quanto ti spertichi oppure no

Viaggiare da sola non ha paragoni con niente al mondo. Tutte le volte che avrai provato in altri modi a volte è andata benino, altre meno, altre ma proprio no. Il viaggio vero è da sola, con tutti gli imprevisti e l’assoluta libertà di un’esperienza folle e unica

Lynch un giorno mi avrebbe completamente cambiato la percezione delle cose. Si trattava solo di farmelo spiegare come si deve. Perché se non te lo spiegano ti illudi soltanto di averlo capito

Avrei venduto tutto l’oro dalla prima comunione ad oggi. Che bello non avere roba che hai sempre paura che ti venga derubata e che ad un certo punto ha raggiunto quotazioni altissime

Avrei pianto per tre giorni di seguito per qualcuno e poi mai più per nessuno. Mai più 

Non mi sarei mai pentita di non aver mai voluto dei figli, pure se mi hanno sempre detto che prima o poi sarebbe successo. Non è successo. Perché se davvero i figli non li vuoi, allora non li vorrai mai. Mai

Un buon cappuccino e un’ora di cammino risolvono. Non so come. Ma ci riescono 


In fondo non sono tante le cose che avrei voluto sapere prima. Eppure ho come l’impressione che una diversa tempistica nella consapevolezza avrebbe fatto tutta la differenza nella mia vita. E adesso?

lunedì 4 agosto 2025

Perché guardarmi se non ti sento?

 


 Quando decido di fare stories su fb o su wa c’è solo un motivo: sapere chi e perché si prende la briga di andare a vedere i fatti miei. Perché pure quando succede di capitarci giusto per caso magari mentre stava sbirciando altro, di fatto, se mi ritrovo sempre le stesse persone a passare da me alla fine sono interessate a sapere proprio i fatti miei. Non lo dico io, lo dice la statistica, le visualizzazioni, la pervicacia delle solite presenze sul mio profilo. E non temo di essere smentita. Lo considero in verità pure un fatto bello perché quando le persone che passano mi vogliono bene mi ricordano che le connessioni sono fatte di materiale variabile, sono frammentarie,  discontinue e che pure pensarsi per pochi secondi è un modo per tenersi assieme e vicini, sapere che condividiamo lo stesso cielo e che possiamo persino dircelo guardandoci per un attimo durante le 24 ore senza “sfruculiarci” a parole in ogni momento.

Quello che invece mi pare meno ovvio è il perché mi tengano d’occhio pure le persone (di solito colleghə) con cui manco mi saluto quando ci incrociamo dal vivo. Mi chiedo perché decidano di dover sapere quando e quanto mi sono allenata, quanto faccio la cianciosa con un vestitino nuovo, come mi piace far vedere angoli belli della mia mansarda…cioè tutte cose che non dovrebbero riguardare proprio mai chi non mi considera. Di loro io so giusto il fatto che non mi amano, che non hanno mai avuto parole buone per me, che alcune leggono pure il mio blog e lo portano in giro per diffondere odio per dire quanto sono meritevole dell’inferno…

Mi stimola questa curiosità morbosa, il pedinamento capriccioso giusto per sapere per tempo se e quando fallirò , o quando finalmente sarò meno in forma (almeno di loro), quando mi capiterà una disgrazia su cui fregarsi le mani e dire “finalmente ha avuto quel che merita”. A me certe forme gratuite di cattiveria dietro le quinte divertono sempre parecchio perché mi raccontano molto della vigliaccheria che spesso si nasconde dietro certe forme meschine di odio e di mancanza di pace interiore. Ha a che fare con il livore immotivato verso chi non corrisponde alla nostra personalissima visione del mondo e non avendo alcun diritto di farcelo sapere ci augura il male per vie traverse, aspettando, rimanendo ad osservare. È così che io percepisco gli “spioni” delle mie storie su wa, sperando ogni volta di sbagliarmi e che in realtà ci sia dell’amore non dichiarato nei miei confronti, condito da una curiosità costante e certosina verso le fonti di ispirazione che ritrovano nei miei scatti gioiosi. Sì, sì…certamente…

È da quando non ho più bisogno di conferme che piacere agli altri ha smesso di essere una mia priorità, eppure tenere conto della misura della forbice tra quello che ho deciso di essere o diventare e gli standard ritenuti normali da una società  mi aiuta a stabilire l’entità di tutta la fatica necessaria ad ammettere che tutto quello che ci allontana da noi stessi non può essere definito normale, desiderabile, obbligatorio per tutti. E così tanto meglio sentirsi quella “strana” piuttosto che far pace col disagio perenne di chi si adegua per non essere additata. Meglio confessare allegramente di non avere mai sognato marito e figli piuttosto che averne avuti e sentire il peso di una condivisione mai davvero ricercata, degli affetti forzati, delle delusioni non calcolate. Eh, dice che non lo si può davvero sapere come sarebbe andata se avessi abbracciato il sacro mondo di una vita dove la norma contiene la verità del trend tradizionale. Sarebbe andata che mi sarei pentita, perché ognuno di noi sa nel profondo del proprio cuore a che patti è intenzionato scendere e a quali giammai.

È agosto, non fa troppo caldo, non è ancora il mio compleanno, colleghə maldicenti si mettono a guardare le mie stories invece di pensare soltanto alla loro di estate. Io un po’ ci godo. E un po’ penso alla statistica, alla media, alla varianza. E a tutti quelli che fanno del loro meglio. Sotto gli occhi di tutti

venerdì 25 luglio 2025

“Pensavo peggio” non è niente male

 “Pensavo peggio”. Ricorderò questa estate per il numero insospettabile di volte in cui me lo sono ripetuto. A volte mi basta pescare dalla voragine di aspettative negative per le quali mi ero predisposta per ritrovarmi a danzare dentro spazi di meraviglia fatti solo del peggio che non c’è stato. Mi ero preparata a rivivere nottate di liquefazione da clima torrido milanese tipico degli ultimi sette otto anni e invece fino ad ora soltanto temperature gioiosamente in linea con quelle da sopravvivenza umana. Ero rassegnata a farmi una ragione di un progetto andato a monte e sul quale fantasticavo da circa due anni, ho provato ad avere fiducia in questa città e lei mi ha risposto di nuovo e con più precisione a quello che cercavo. Prometto che questa poi la racconto con dovizia di dettagli ma non prima che tutto sia compiuto perché di scaramanzia nessuno è mai morto. Ho rinnovato il mio abbonamento ai musei della Lombardia e ho trascorso gli ultimi due mesi a sentirmi ogni volta più fortunata a vivere in una città vittima incolpevole della retorica facile e approssimativa sul suo essere diventata elitaria, senza pensare che la sua parte migliore è accessibile a tutti, assieme alle stesse case quando non le cerchi in pieno centro in mezzo a quartieri già saturi da almeno vent’anni. Ma questa è un’altra storia.

“Pensavo peggio” ha in sé il respiro di sollievo di quelli che non vorrebbero altro che evitare l’apocalisse augurandosi, nel caso, di soffrire il meno possibile. E’ la rassegnazione di quelli che non hanno mai avuto pretese ma poi si accorgono che ci hanno provato così tanto e con tale intensità che alla fine va bene, meglio di quanto potessi sperare. A volte addirittura benissimo. Fiduciosi che in fondo “aiutati che Dio ti aiuta vale pure se non sei credente.

“Pensavo peggio” quando faccio i conti con i miei anni che si sommano e mi chiedo per quanto ancora riuscirò a fare cardio e pesi senza, un bel mattino, ritrovarmi a terra con un corpo che ha deciso di smettere di assecondarmi. In realtà me lo dico pure quando mi riescono certe posizioni bizzarre dello yoga di cuiprima o poi riuscirò a capire e apprezzare l’essenza profondaperché i miei “pensavo peggio” hanno uno spettro amplissimo che spazia tra le alte prestazioni decrescenti alla tranquillità dell’anima forse mai nata.

 

Ho attraversato questo mese con una temperatura amica che mi ha consentito di muovermi tra una quantità di cose che non avevo neppure vagamente preventivato, traghettando tra eventi di pura fortuna e la riprogrammazione repentina di cose che (forse!)accadranno a breve. Se pure agosto diventasse un mese rovente potrei dirmi comunque contenta persino per tutto quello che non è stato.

“Pensavo peggio” è il gusto di non avere ragione mentre eravamo già pronti alla delusione. Se dovessi pensare alla felicità me la racconterei proprio così

lunedì 14 luglio 2025

Conservarsi. In luogo fresco

 Non mi riesce mai. Quando decido di sbrinare il frigo ogni voltadevo fare i conti con quelle due o tre cose che non posso tirare fuori altrimenti vanno a male. E allora mi tocca aspettare rimandare il mio progetto di vuoto incontaminato da riempire con cose diverse, nuove, fresche. Che pare niente e invece per me il frigo pulito è una specie di piccola epifania, una ripartenza sana, fatta di ingredienti nuovi con cui sperimentare ricette legate alla stagione e alla nuova filosofia alimentare che si accorda con la nuova te che hai deciso di diventare.

Mi capita tutte le volte che tento di azzerare uno spazio di transito in cui attingo alle mie possibilità domestiche, anche con la dispensa tutte le scatole a lunga conservazione con cui fisso i miei bisogni e le mie piccole voglie. Quello però lo considero un progetto di più lungo termine, proprio come le scadenze che portano sopra. Nella dispensa c’è quello che ho deciso di essere quando mi auguro di non cambiare idea, quando ho chiara la mia missione prima di abbracciare un progetto nuovo. Nel frigo invece ci sono le scelte veloci come lo yogurt, sempre rigorosamente bianco, le uova, i pomodorini pachino, l’insalata in busta. Una volta ci tenevo pure un sacco di piatti pronti, prima che sposassi la causa della lotta ai cibi processati: troppo buoni e troppo comodi per essere pure giusti e sani. Stavolta in frigo sono rimasti soltanto mezzo barattolo di conservalatte d’avena, una confezione di pesto fresco e una di formaggio fresco a fette. Mi basterebbero un paio di giorni per finire tutto.

Ma non avevo considerato il congelatore. Il vero vincolo è lui. Lì dentro ci metto cose che durano fin quando il freddo decide di volerle proteggere. Non le si può tirar fuori senza poi consumarle immediatamente. E liberarsi di quelle non è così automatico: ci sono le porzioni destinate ai pranzi in ufficio per l’intera settimana, le fette di cheese cake che vuoi portarti giù per farle assaggiare a quegli assopiti senza troppo spirito di iniziativa che ti hanno generato, ci sono le foglie di basilico mummificate frescheda mettere sulla pizza quando avrai un po’ di tempo per farne una come si deve, ci sono gli avanzi delle sere precedenti, quando ad un certo punto hai preferito virare per un frullato proteico relegando il rustico ripieno ai momenti più difficili. 

, il congelatore è una storia a parte e parecchio più complicata da gestire, ma tanto lo sapevo che alla fine mi tocca sempre aspettare, anche le piccole rivoluzioni dal basso, quelle svolte un po’ metaforiche che avrebbero un valore proprio nell’isteria del gesto che le innesca, io le devo attendere come la reunion degli Oasis. E in questo struggimento mi concedo il lusso di avere un pretesto valido per continuare ad attingere alle mie vecchie abitudini, ai miei schemi sempre uguali che, mi illudo, mi proteggano dagli imprevisti e, nei fatti, mi escludono soltanto dalle sorprese. In quel congelatore ci sta un tupperware gignateche trabocca di sensi di colpa mai risolti, di paura di intaccare le riserve di coraggio mai tolto dal suo sottovuoto, c’è l’istinto alla conservazione di merce già scaduta da tempo e che hai preferito non consumare. 

Tra qualche giorno dovrò tornare dai miei. Fino ad allora i pranzi per il lavoro saranno tutti consumati. Il resto diventerà bagaglio senza ritorno. Quel giorno il frigo sarà vuoto, sbrinato e pulito. Senza di me. Poi si vedrà

martedì 10 giugno 2025

Quando si nasce?

 Credo che ad un certo punto quel momento lì arrivi per tutti. C’è una specie di intuizione folgorante che ti pone, senza che tu davvero ti ci fossi impegnato, nella prospettiva esatta e perfettamente tarato rispetto al tuo racconto. A me è successo. Ci sono riuscita da sola ma mi è  servito un sacco di tempo. Ad un certo punto mi sono svegliata e ho riposizionato tutti i ricordi, le parole sbagliate, le offese, le spiegazioni fasulle, le umiliazioni…tutto quanto. E così ho capito. Ho capito che io non sono stata mai una priorità per nessuno. Neppure da piccola per i miei genitori. Non c’erano le condizioni per esserlo, magari in un clima e un contesto più sereno sì, ma in quel momento non ero altro che un freno e un intralcio fastidioso con cui poter al massimo giocare al ribasso. E sai cosa? Rendermene conto dopo così tanto tempo, ha azzerato ogni lacerazione. Sapere di non essere stata amata come si deve senza per questo puntare il dito contro nessuno ha qualcosa di liberatorio, come se esonerasse finalmente anche me stessa dal dovere di amare a mia volta e assumermi la responsabilità della gratitudine. Un giorno mi sono svegliata e mi sono detta che io a questi devo molto meno di quel che loro in modo ricattatorio mi hanno lasciato intendere: dai risultati a scuola, alla velocità con cui mi si imponeva di trovare un lavoro, al non poter chiedere mai una lira, al presentare fidanzati in linea con le loro aspettative. È stato solo pochi giorni fa, ben più tardi di quando avrei dovuto capire tutto quanto, ma ho fatto un lungo respiro lo stesso e mi è sembrato che mi rotolasse dalla schiena un macigno che avevo lasciato crescere da tutta una vita. È liberatorio pensare che non ha più importanza sapere se e quanto abbia giocato la malafede o se in fondo è andata così perché non si poteva far niente di meglio. Quel che conta è esserci finalmente arrivata con gli strumenti giusti e cominciare a tenere per me ciò che è mio. Quando scopri che sei anche un po’ più sola di quanto pensassi sviluppi un senso più acuto dell’orgoglio o perlomeno attivi uno strano mix di risorse che cerchi di far luccicare il più possibile contro tutte le tristezze che per il momento non puoi permetterti.

Ho deciso che a luglio resterò a Milano. Ho bisogno di godermi un po’ di ferie senza ansia di novità o di stravolgimenti del quotidiano affrontando viaggi e soggiorni. Ho voglia di gironzolare per i quartieri, andare per musei e stare al fresco in qualche parco a ipotizzare un nuovo futuro possibile accompagnato a qualcosa che mi assecondi. 

Da qualche tempo ho preso la decisione di comprare una nuova casa. La situazione qui a Milano è drammatica per due ordini di motivi: hanno bloccato la costruzione di 150 cantieri e quelli finiti hanno un valore proibitivo anche per i più solidi economicamente. Non sarà facile ma voglio provare a guardarmi intorno e pensarmi in questa città in un altro quartiere, in una casa nuova nuova e bella bella. Quale maniera migliore per sentirsi punto e a capo se non quella di mettere radici in un posto diverso, anche se nella stessa città di sempre, con le cose da fare ormai familiari e con poco da reimparare su come muoversi e cosa fare? 

A volte mi pare di non essere mai nata davvero, altre che vorrei solo rifarlo meglio al netto dei dolori e delle imperfezioni già vissute, altre ancora mi piacerebbe ricominciare azzerando ogni cosa e ridisegnando da subito la vita giusta per me, senza tentativi o prove fallimentari da cui rialzarsi e andare avanti.

A volte vorrei semplicemente non aver perso tempo, tra dolori inutili e inconsapevolezze, tra strade sbagliate e nuovi tentativi per trovare il sentiero corretto. A volte, ma solo a volte, vorrei scordare di sentirmi così irrilevante

Di finestre. Di cortili. Di autunni

  E come se nulla fosse è tornato l’autunno, il buio presto, le mani fredde, i f a zzoletti sempre in tasca. Io non ho nulla contro il norma...